Geolier ha il talento più solido e statuario del nostro tempo

Uscirsene con un secondo disco come il suo Il coraggio dei bambini a 22 anni è tutto tranne che scontato. Geolier è già ben oltre la promessa. È qualcosa di grande
Geolier
GeolierGaetano De Angelis

Nel 2000 Eminem regalava al mondo The Marshall Mathers, il disco che probabilmente lo ha consacrato come liricista. Nello stesso anno Ghostface rompeva quello che sembrava il tabù dei secondi dischi solisti dei membri del Wu-Tang, pubblicando Supreme Clientele, a detta di molti, anche di chi scrive, un insperato ma deciso upgrade rispetto ad Ironman. Usciva Stankonia, il primo album ufficiale di Quasimoto l’aka di Madlib, il secondo album di Big L, forse il primo disco debole (dopo 4 capisaldi) dei De La Soul e la lista potrebbe proseguire quasi all’infinito (Snoop Dogg con The Last Meal, quella truffa venduta come disco di Jay Z che è The Dinasty etc etc).

Contemporaneamente in quel di Napoli veniva alla luce Emanuele Palumbo, che ora tutti conoscono come Geolier.

Il primo disco dell’anno, in ordine cronologico, è il suo. Si chiama Il coraggio dei bambini e fin dal titolo è palese tutto il messaggio che la musica di Geolier si porta dietro, ma è chiaro anche lo stupore nel sentirlo rappare.

Come forse avrete evinto, se sapete fare di calcolo, Emanuele ha solo 22 anni. Per molti potrebbe essere un bambino, un ragazzino, una giovane promessa, anche per il genere, un genere giovanile e fresco, che però in Italia ha ancora nei suoi massimi esponenti persone che hanno il doppio dei suoi anni. Quei bambini con coraggio, ovviamente, non sono solo Geolier ed Emanuele, come se fossero due entità, ma sono le storie (sue e dei suoi amici) che lo circondano. Il disco si apre con un brano che nel ritornello recita: 

Non puoi avere vent’anni, nel senso che non puoi goderteli, devi dimostrarne di più. Sono già troppi vent’anni, quasi come se fossero un regalo, un traguardo, un qualcosa di non scontato. Mentre noi cerchiamo di capire cosa fare da grande, un Geolier dev’essere un uomo già formato.

Perché parlo di “un Geolier”? Questo suo secondo disco è uno dei progetti indubbiamente più apprezzati all’unanimità dalla scena: su di lui hanno messo il bollino Gué (con anche un featuring nell'album), Marracash, Ensi, Noyz, Gemitaiz e la lista potrebbe continuare. “Sono super fan di Geolier, è uno dei grandi talenti in Italia, ha un senso di appartenenza senza pari, è l'artista che più di ogni altro attualmente rispecchia l'attaccamento al territorio. Lui è il suo quartiere e il suo quartiere è lui”, mi racconta Ciro Buccolieri, manager di Thaurus e di artisti come Ernia, una delle persone da cui ho voluto farmi raccontare questo disco. Voci dall’interno, perché l’impressione è che questo disco non sia importante solo per Geolier, ma per la scena tutta.

“[Di Geolier] mi colpisce la consapevolezza, è facile farsi trasportare dal successo a quell'età. È chiaro per lui chi vuole essere e chi rappresenta. Molte volte gli artisti hanno una volontà di essere molto diversa dalla realtà, che differisce dal proprio pubblico, da chi rappresentano. È in mezzo tutti i giorni alla gente che vuole raccontare, questo lo aiuta”, continua Ciro. Per questo ha senso parlare di “un Geolier”. 

Nel disco che lo ha consacrato con il premio Tenco, Marracash accusava lui, loro e gli altri di aver perso l’identità collettiva. Il coraggio dei bambini funziona anche in tal senso: quello che racconta Geolier non è un trend, non è un qualcosa di etereo, è una realtà, che sicuramente oggi non è taciuta, ma che senz’altro è raccontata dai media mainstream con un velo di romanticismo e di romanzato che poco hanno a che vedere con la realtà dei fatti. 

Con una naturalezza senza eguali, in brani come Napo****no, Geolier racconta una calda - dodici gradi, quelli portati da un 'o sole [che] ce sta sempe - giornata di dicembre, quando la gente inizia a sentire l’ansia del Natale. È non è l’ansia consumistica della grande città, o meglio non solo, è l’ansia di chi sa che in quel momento avrà più bisogno di altri di soldi, per non essere da meno, per non sfigurare. In una manciata di barre, come se fosse un piano sequenza introduttivo di un film che vuole farti conoscere tutte le maschere che ci saranno in ballo, si passa dal ladruncolo che pensa ai modi più veloci per fare questi soldi, alla guardia aret'ô ladro, al padre che si premura di educare un figlio che purtroppo è nato quadrato e albero curvo, alla madre in ansia perché sa che al mondo ha donato un figlio che ha fatto “la scelta”. 

C’è un discorso di tradizione, proprio inteso nel senso più etimologico del termine, di consegna di sapere, popolare, di strada, che sembra di guardare da una finestra quello che la generazione prima di me e di rimando la mia, ha imparato su New York grazie a un paio di cuffiette.

Ho iniziato citando una serie di album che quest’anno, come il nostro, compiranno ventitre anni. Non è una scelta a caso. In un impeto di entusiasmo, Stabber, produttore di rapper come Salmo, Gemitaiz, Rasty Kilo, con un progetto alle spalle come Artificial Kid (insieme a Danno e Dj Craim), mi confida che ritiene Geolier: “Il Biggie italiano, la cosa più vicina a Notorius B.I.G. che abbiamo avuto”. Il gusto classico di Emanuele traspare da ogni barra: “Per un ragazzo così giovane non è così scontato avere un certo tipo di gusto, fortemente legato a New York” mi dice Ciro Buccolieri. “È fan di Biggie, di 50 Cent, di tutta la roba del Queens, di NAS e dei Mobb Deep, si vede che ha riscoperto quelle cose e le ha fatte sue”.

In tutte le persone che ho sentito, alcune informalmente che non inserirò nel pezzo, colleghi di Geolier di ogni età, dai veterani ad alcuni esponenti del tanto osannato 2016, la prima cosa che stupisce dell’artista napoletano è quella che dovrebbe essere la più scontata: rappa. “Quando registra”, mi dice The Night Skinny, che con Geolier ha collaborato diverse volte “Vuole sempre registrare tutto one take, come se fosse un concerto, prende il fiato giusto e porta a casa”. Non è solo una questione di fiato, ma anche di tecnica: “Rappa da paura. A 22 anni ha fatto tutte le cose giuste che poteva fare, anche nel disco rivendica di non aver mai fatto una hit estiva, non una cosa scontata in questo paese. È un disco super dark come suono. È una sorta di speranza per la sopravvivenza di questo genere a livello pro”, mi dice Stabber. E poi continua: ”Scrive strabene, arriva diretto, non è mai banale, si sente che quando scrive non sceglie mai una via banale anche a livello tecnico. Ogni rima è giusta, si incastra bene, passa da una cosa all'altra in un modo così naturale che non sembra neanche lui. È nato con un dono e ha capito perfettamente qual è. Vorrei ce ne fossero altri 20 come lui”.

Prima parlavo di big della scena che hanno dato la propria benedizione a Geolier. Ne ho tralasciato uno, non perché fosse meno importante, o perché fosse una dimenticanza, ma perché merita una menzione speciale a parte: Luché. In una delle interviste che realizzammo per l’uscita di DVLA, ci fu l’occasione anche per parlare di Emanuele: “In napoletano si dice che ’o purpo s’adda cocere cu’ l’acqua soja. Sono stato molto paziente, ma ho incassato tanto. [...] Così ora dimostro anche che non ha senso avere paura di far crescere altri artisti molto forti della tua città, penso a Geolier, come gli altri del roster. Nessuno di loro mi toglie niente, ma tutti mi aggiungono, mi arricchiscono. Io sono consapevole di chi sono. Il talento non lo puoi mai fermare”.

Oltre che arricchire Luché, dare nuova linfa al rap napoletano di oggi, Geolier eredita su di sé un fattore molto più importante: “Geolier è la rivincita dei Co' Sang, è in piena continuità con quel progetto. Hanno fatto dei dischi quando Emanuele aveva 5/6 anni, nonostante ciò, anche qui con un certo lavoro di recupero, ha raccolto quello scettro e ha tenuto vivo quel tipo di attitudine e messaggio. Il suo successo mainstream è un po' anche il loro riscatto”, mi dice Ciro. 

Ci sono quei temi, quel gusto cinematografico, quel gusto ispirazionale a un certo tipo di rap, un certo tipo di attitudine, una voglia di riscatto e un’attenzione non indifferente alle produzioni. Secondo Stabber, Il coraggio dei bambini è “uno dei progetti più di livello alto in generale uscito in questi anni. Musicalmente è una figata, Dat Boi Dee è bravissimo, il disco suona benissimo, a livello di produzione sembra una cosa internazionale”. Anche Ciro vede in Dat Boi Dee una delle cause del successo e della forza di Geolier, oltre la sua naturalezza nel cercare la hit. 

“Ho avuto modo di studiarlo attentamente, seppur appena ventenne ha ben chiaro quando un brano funziona e quando no. Ha un feeling particolare con il beat. In 15 minuti è capace di portare a casa una hit”, aggiunge Skinny.

I gradi della next big thing, solitamente, sono pesanti e una condanna più che uno sprone per gli artisti più giovani. Geolier, in poco più di quattro anni di carriera, però, ha già scongiurato il pericolo del sophomore album, che per gli artisti a cui si ispira è sempre sembrata una maledizione. 

Non sappiamo cosa prospetta il futuro a Geolier, ma possiamo consolarci nel vederlo così statuario a poco più che vent’anni. Togliamogli dunque i gradi di next big thing. A soli 23 anni, Emanuele è già qualcosa.